Membri di chiesa

Quando pratichi la disciplina nella Chiesa? E come affronti il peccato?

Da Jonathan Leeman

Jonathan Leeman iè il Direttore Editoriale 9Marks, e un anziano presso la Cheverly Baptist Church in Cheverly, Maryland. Potete trovarlo su Twitter con @JonathanDLeeman.
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06.01.2016

La grande maggioranza della disciplina in una chiesa dovrebbe avvenire nelle normali relazioni dal lunedì al sabato. No, questo non significa che vogliamo una chiesa dove le persone vanno in giro correggendosi l’un l’altro continuamente. Sarebbe terribile. Significa semplicemente che desideriamo una chiesa caratterizzata da persone che hanno fame di pietà. In genere, i membri chiedono la correzione, non nascondersi, perché vogliono crescere.

“Ehi Ryan, mi puoi dire qualcosa su come ho guidato quell’incontro? Cosa avrei potuto fare meglio?”

“Zach, Voglio che tu sappia che puoi sempre parlare del mio matrimonio e di come tu mi vedi amare mia moglie. E, la mia carne in realtà non vuole chiedere questo, ma… eventuali osservazioni su come mi hai visto genitore?”

Gli scrittori a volte fanno una distinzione tra disciplina formativa e disciplina correttiva. Per disciplina formativa si intende l’insegnamento. Per disciplina correttiva si intende correggere gli errori. Ma ovviamente le due cose vanno a braccetto. È difficile avere l’una senza l’altra. E nella vita della chiesa, la disciplina intesa come formazione e correzione dovrebbe essere una caratteristica non solo della domenica, ma dal lunedì al sabato. Si potrebbe dire che la disciplina è solo un altro modo di descrivere il processo del discepolato. Quando dovrebbero aver luogo il discepolato e la disciplina? Tutta la settimana. Ecco quando.

LA DOMANDA DIFFICILE

Ma qui abbiamo il problema più difficile: Quando porti il processo di disciplina al livello successivo, da uno a due o tre, o da due o tre a tutta la chiesa?

Qui non c’è una formula facile. Ogni caso deve essere giudicato in base ai propri meriti. Ad esempio, ci sono state situazioni in cui i nostri anziani hanno visto la necessità di lavorare per molto tempo — e ci sono state altre situazioni in cui abbiamo lavorato per mesi o addirittura anni, senza mai decidere di portare il problema in questione al livello successivo.

Questo, il più delle volte, è il caso in cui le persone coinvolte stanno lavorando con noi per combattere il loro peccato. Ricordo il nostro consiglio anziani che ha lavorato con una coppia sposata per quattro o cinque anni, un periodo così lungo che gli anziani che iniziarono il processo di consulenza alla coppia si tolsero dal consiglio perché i loro termini erano scaduti, e nuovi anziani che entrarono nel consiglio dovettero essere informati sulla situazione, e questa transizione si verificò un paio di volte durante il periodo problematico della coppia. Nessuno di loro fu mai scomunicato pubblicamente.

UNA DOMANDA LEGGERMENTE PIÙ FACILE

Qui abbiamo una domanda leggermente più facile a cui rispondere, almeno in teoria: Quali sono i peccati che giustificano un’esposizione pubblica e la scomunica? Per poter rispondere a questa domanda, una generazione più vecchia di scrittori compilerebbe spesso liste di peccati dalla Scrittura, come quelli in 1 Corinzi 5 e 6. “Ora, vi sto scrivendo non per associarmi a qualcuno che afferma di essere un credente, sessualmente immorale o avaro, un idolatra o uno che è offensivo verbalmente, un ubriaco o un truffatore” (1 Co. 5:11). Ma se ci limitiamo soltanto a quelle liste, significa che dovremmo scomunicare l’avaro e non il malversatore? Il truffatore ma non l’omicida o il pedofilo? Malversatori, omicidi, pedofili non sono mai citati in questo tipo di liste.

Sinceramente, non penso che dovremmo ritenere esaustive queste liste. Paolo qui sta descrivendo il tipo di peccati con cui dovremmo supporre di descrivere le persone che rimangono non credenti e impenitenti (vedi 1 Co 6:9-10).

Penso quindi che la breve risposta alla domanda suddetta sia: soltanto quei peccati che sono esteriore , significativo e impenitente giustificano un’esposizione pubblica e la scomunica. E un peccato deve avere tutte e 3 le cose, non soltanto una o due di queste.

(i) Un peccato deve essere esteriore.

Innanzitutto, un peccato deve essere quel tipo di cosa che si può vedere con gli occhi o sentire con le orecchie. Non può essere qualcosa che sospetti possa trovarsi tranquillamente nel cuore di una persona. Paolo mette nell’elenco l’avaro, ma non si accusa nessuno di essere avaro e poi lo si scomunica se non c’è evidenza esteriore dell’avarizia. Il sistema giudiziario secolare è cauto nel pesare le prove. Le chiese dovrebbero essere meno attente? Gesù non è interessato alla giustizia di massa.

Ma notate che ho detto “esteriore,” non “pubblico.” Per esempio, la fornicazione non è pubblica. È privata. Ecco perché ho detto “esteriore.”

(ii) Un peccato deve essere significativo.

Ansia, paura e stress potrebbero essere peccato. Ma non credo che possano giustificare l’esposizione pubblica e la scomunica.

Se, ad esempio, scopro che un fratello abbellisce una storia, e lo nega, egli potrebbe peccare. Ma non lo renderò pubblico. Pietro ci dice “l’amore copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4:8). Sicuramente una delle caratteristiche principali di una chiesa sana è la volontà di ignorare molti, se non la maggior parte, dei peccati che sperimentiamo per mano dei nostri fratelli.

Quindi cosa conta come peccato significativo? È il peccato che rende difficile continuare a credere che qualcuno porti lo Spirito di Dio ed è un cristiano, almeno se lui o lei rifiuta di pentirsi. Ricordatevi cos’è la fratellanza: l’affermazione di una chiesa sulla professione di fede di una persona. Il peccato significativo è il peccato che rende difficile, se non impossibile, stare di fronte al mondo che guarda e continuare ad affermare come credibile una professione di fede. Io posso, con la coscienza pulita, continuare ad affermare la fede di qualcuno che nega di aver esagerato una storia; non posso farlo con la coscienza pulita per qualcuno che persiste nell’immoralità sessuale, nell’abuso verbale, nell’ubriachezza e così via.

I criteri per “significativo” sono soggettivi? Si, ed è per questo che lo stesso peccato in una situazione può giustificare la scomunica mentre in un’altra situazione potrebbe non farlo, per una serie di fattori circostanziali. Quanto sarebbe facile per la Scrittura fornire una giurisprudenza precisa per affrontare qualsiasi situazione immaginabile. Così com’è, il Signore vorrebbe che noi facessimo appello a Lui per la saggezza e che camminiamo nella fede. Tra l’altro questo è un motivo in più per cui le chiese dovrebbero aspirare a suscitare quanti più anziani possibile. Non vogliamo uno o due uomini che debbano soppesare questioni del genere prima di portarle in chiesa.

(iii) Un peccato deve essere impenitente.

La persona deve confrontarsi col suo peccato. E se riconosce o meno il suo peccato, e se dice o meno che si fermerà, alla fine si rifiuta di lasciarlo andare; continua a tornarci su. Non può (o non vuole) essere separato da esso, come un pazzo e la sua follia.

MA COME DOBBIAMO CONFRONTARCI CON IL PECCATO?

Ci furono volte in cui Gesù ribaltava i tavoli con rabbia. Ci furono volte in cui gli apostoli parlarono pubblicamente con una lingua affilata verso individui particolari (pensate a Pietro e Simone il mago in Atti 8, o Paolo in 1 Corinzi 5). E potrebbero esserci rare occasioni in cui la correzione di un fratello dovrà essere 9 o 10 su una scala di gravità.

Ma nella stragrande maggioranza delle circostanze, le modalità del confronto o delle domande dovrebbero avere queste caratteristiche:

  • Discreto : la progressione di Matteo 18 suggerisce che dovremmo mantenere i cerchi il più piccoli possibile.
  • Gentile : Paolo ci dice di rialzare le persone “con uno spirito di mansuetudine” (Gal. 6:1).
  • Vigile: in questo stesso versetto, Paolo aggiunge, “bada bene a te stesso, che anche tu non sia tentato.” Giuda è d’accordo: “e di altri abbiate pietà mista a timore, odiando perfino la veste contaminata dalla carne” (v. 23). Il peccato è subdolo. È facile farsi prendere, anche quando stai cercando di aiutare gli altri.
  • Pietoso : Giuda lo dice 2 volte: “abbiate pietà” e “abbiate pietà” (vv. 22, 23). Il proprio tono dovrebbe essere pietoso e comprensivo, non ipocrita, come se non fossimo mai soggetti all’errore.
  • Imparziale : Non dovremmo avere pregiudizi, ma lavorare per sentire le due campane (vedi 1 Tim. 5:21).
  • Chiaro : Lo scontro passivo aggressivo o sarcastico è certamente scorretto perché serve solo a proteggere se stessi. Si dovrebbe invece essere disposti a rendersi sensibili essendo molto chiari, specialmente se si chiede alla persona in peccato di aprirsi confessando. A volte, un eufemismo può servire a ottenere dolcezza e contribuire a far tirare fuori una persona da sola. Ma questo non può compromettere il fine della chiarezza. Più i cerchi diventano ampi, più bisogna esser chiari. Dopotutto, un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta (1 Co 5:6). Le persone devono essere informate.
  • Decisivo : In relazione a ciò, quando ci si trova nella fase finale della disciplina – scomunica o esclusione – tutta la chiesa dovrà agire in modo decisivo: “Purificatevi del vecchio lievito per essere una nuova pasta” (1 Co. 5:7); “ammonisci l’uomo settario” (Tito 3:10). Deve essere chiaro che l’individuo non è più un membro di chiesa o benvenuto alla Mensa del Signore.

La saggezza è sempre richiesta in materia di correzione perché non esistono due situazioni uguali. È facile dire “Bene, con questa persona, ce l’abbiamo fatta”. Benché ci sia molto da imparare dalle situazioni precedenti, dobbiamo infine fare affidamento sui principi della Parola di Dio, la guida del Suo Spirito e un attento esame dei particolari e delle idiosincrasie di ogni situazione.

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Nota del redattore: questo articolo è un estratto tratto dal nuovo libro di Jonathan Leeman Understanding Church Discipline (B&H, 2016).

Tradotto da Coram Deo in Italia. Visita il loro sito per accedere alle risorse disponibili.

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