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Come “appartenere prima di credere” Ridefinisce la chiesa

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02.29.2012

Una delle più grandiose scoperte del mondo moderno è che John Donne aveva ragione e “Simon & Garfunkel” si sbagliavano: non sono una roccia, io non sono un’isola.

Da chi io credo di essere a ciò che io penso della vita e dell’universo: sì, le mie opinioni sono tutte costruite socialmente. Questo non significa che non sono in grado di prendere decisioni indipendenti, vuole semplicemente dire che il contesto sociale in cui vivo determina fortemente la rosa di opzioni che posso scegliere.

Anche l’ambiente culturale, con la sua approvazione o disapprovazione, privilegia alcune scelte e ne penalizza altre.

A volte è il vantaggio economico a determinarle.

A determinare le nostre scelte ancora più rilevante del profitto economico, può essere il giovamento sociale, intellettuale ed emozionale che deriva dell’essere considerato normale e sano cioè un membro ben integrato della società.

Noi siamo essere sociali e per questo vogliamo essere inclusi nel gruppo.

Questo significa che, indipendentemente dal valore effettivo delle stesse, alcune idee sembrano più plausibili o invitanti di altre.

E’ difficile credere in qualcosa che sappiamo essere ritenuto assurdo da chiunque e d’altro canto è piuttosto semplice credere in qualcosa che tutti quanti reputano logicamente esatto.

Non siamo isole in un fiume, siamo un branco di pesci e ci sembra semplicemente sensato seguire la corrente.

LA CHIESA DICE “QUESTO NON E’ COSI’ FOLLE COME PENSAVI CHE FOSSE”

Cosa accade quando si aderisce al modo di pensare della Chiesa locale e al suo scopo evangelistico?

Si realizza all’improvviso che la Chiesa è qualcosa di più di un semplice luogo di predicazione o una sede di programmazione evangelistica e si comprende che l’obiettivo dell’evangelizzazione non è più ristretto ai soli esperti dello staff.

L’intera comunità diventa un elemento cruciale per diffondere il Vangelo e questa stessa comunità diventa un’alternativa plausibile all’incredulità.

Essa diventa una sottocultura che dimostra cosa vuol dire amare e seguire Gesù e, di conseguenza, amare e servire gli altri.

E questo accade nel momento in cui il corpo della Chiesa vive la propria vita unita: dalle riunioni pubbliche ai piccoli gruppi di studi biblici, dagli incontri informali intorno una tavola per la cena agli eventi più prettamente sociali … la vita insieme rinforza non soltanto la fede condivisa, ma comunica anche al mondo non cristiano che osserva: “Questo non è folle come pensavi che fosse e se fai il salto dall’incredulità alla fede non sarai solo”.

In altre parole la chiesa diventa un organismo di fede che dà fiducia.

Tutto ciò ha un senso?

UN ULTERIORE PASSO IN AVANTI: APPARTENERE PRIMA DI CREDERE

Negli ultimi decenni, tuttavia, molte chiese hanno fatto un passo avanti in questa visione.

Se osservare un’alternativa convincente dall’esterno può spingere una persona a spostarsi dalla sua posizione di incredulità alla fede, non sarebbe ancora meglio osservandola direttamente dall’interno?

Se vogliamo portare il vangelo ai non credenti, cosa c’è di più efficace se non invitarli, lasciando che lo provino prima di “acquistarlo”?

Se la comunità è lo strumento più potente che abbiamo allora lasciamo che le persone entrino, non come osservatori esterni, ma (prudentemente) come parte integrante della nostra vita collettiva.

Quale sarà il risultato? I “non credenti” diventano “ricercatori” invece di rimanere non cristiani; diventano nostri compagni di viaggio che si trovano solo ad un punto differente rispetto a noi.

A livello pratico questo significa lasciare che “i non credenti” partecipino ad ogni cosa: dal gruppo di adorazione al ministerio che si occupa del dopo scuola, dal servizio d’ordine al coordinamento delle passeggiate per gli anziani… Tutti sono inclusi, tutti sono parte integrante, indipendentemente dalla fede.

L’idea è che, prima ancora che possano accorgersene, si sentiranno non solo di appartenere alla comunità, ma giungeranno a credere in ciò a cui appartengono perché l’appartenenza ha reso la fede possibile.

PERCHE’ NON LASCIARE CHE APPARTENGANO PRIMA CHE CREDANO? – TRE MOTIVAZIONI

Questa è un’idea allettante ed efficace, ma può essere anche una cattiva idea: ecco tre ragioni per cui può essere una pessima idea.

Confonde i cristiani

Questa idea può prima di tutto confondere i cristiani.

Io sono Pastore di una chiesa che per anni ha messo in atto questa pratica.

Il risultato è stato una collezione di persone (alcuni membri formali, altri no) che affermavano di essere cristiane.

Il problema è che alcune erano zelanti e si impegnavano, altre sembravano più interessate ad essere intrattenute ed  altre ancora erano addirittura infastidite dal dover contribuire.

Dal momento che ognuno di loro apparteneva alla “famiglia” erano nominalmente seguaci di Gesù e noi dovevamo trovare delle giustificazioni per differenziarli dagli altri mebri: “è molto impegnato”, “non le piace molto la musica”, “i suoi amici non sono più qui”.

Dovevamo anche creare categorie come “cristiani fedeli”, “cristiani veri”, “cristiani che si sacrificano” così da distinguerli dai “cristiani comuni” e da “una sottospecie di cristiani”.

Nella chiesa dovremmo aspettarci una certa maturità spirituale anche se i cristiani possono peccare.

Ma cosa significa davvero essere cristiani in questo contesto?

E cosa dovremmo fare con gli scomodi insegnamenti dati da Gesù: “Chiunque avrà fatto la volontà del Padre mio, che è nei cieli, mi è fratello, sorella e madre” (Matteo 12:50), “Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me” (Matteo 10:38)?

Gesù descriveva l’essere suoi seguaci come un rompere radicalmente con il nostro vecchio modo di vivere, ma quando cominciamo a deformare deliberatamente i confini, confondiamo gli stessi cristiani riguardo a cosa significhi effettivamente essere seguace di Gesù.

Confonde i non Cristiani

Appartenere prima di credere confonde, in secondo luogo, i non cristiani.

Non molto tempo dopo essere arrivato nella mia chiesa, ricevemmo una chiamata anonima al nostro ufficio con la quale fummo informati che uno dei leader stava, per usare una frase antiquata, “vivendo nel peccato”.

Quando siamo andati in fondo alla questione, abbiamo scoperto che era la verità.

In un certo senso, quello non era il problema più grande: i cristiani possono cadere nel peccato, anche nei peccati più gravi.

Il vero problema, da un punto di vista pastorale, sorse quando ci confrontammo con questa persona.

La sua risposta fu sconcertante: “Io non volevo questo! Se avessi saputo che sarebbe andata in questo modo, non avrei mai accettato di far parte di tutto questo”.

Nel momento in cui si adotta, come facevamo noi, “la cultura dell’appartenere prima di credere” si possono avere ironicamente membri “formalmente qualificati”.

Essere cristiano, per quest’individuo, non significava evidentemente obbedire a Gesù ed il Vangelo non significava ravvedersi e credere.

Per lui voleva dire, al contrario, appartenere alla nostra famiglia, essere accettato,  avere l’opportunità di mostrare i propri talenti ed i propri interessi.

Responsabilità ed affidabilità non rientravano sicuramente nell’equazione e prima ancora che avessimo la possibilità di discuterne, quel leader se ne andò via.

Quando a queste persone non viene mai detto che “non sono cristiani”, e li viene invece insegnato a guardare a loro stessi come “compagni di viaggio”, “ricercatori”, o “persone che si trovano in un punto differente dello stesso percorso”, diventa facile per loro confondersi su cosa significhi davvero essere cristiano e cosa voglia dire avere fede nel Vangelo.

Il desiderio di appartenere ad una famiglia di persone meravigliose può facilmente portare qualcuno ad aderire alla comunità di Gesù, senza però aderire al comandamento di Gesù che ci dice di pentirsi e credere.

Ridefinisce dalle fondamenta la chiesa locale

Appartenere prima di credere ridefinisce, infine, le fondamenta della chiesa locale.

La chiesa locale è una comunità: una comunità non è definita dai suoi documenti, dall’edificio o dal programma, ma dalle persone che la compongono e le cui vite partecipano alla creazione di una nuova realtà di amore e santità.

Gesù diceva: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).

Questo è ciò che Paolo pensava: “Non sapete che un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta? Purificatevi del vecchio lievito per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata” (1 Corinzi 5:6-7).

Ed ancora: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione c’è tra la luce e le tenebre?” (2 Corinzi 6:14).

Mentre in 1 Pietro 2:12 leggiamo: “Avendo buona condotta tra i pagani, affinché laddove sparlano di voi, chiamandovi malfattori, osservino le vostre opere buone e diano gloria a Dio nel giorno in cui li visiterà”.

E Giovanni scriveva: “Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di rimanere in lui, deve camminare come egli camminò” (1 Giovanni 2:5-6).

Secondo il Nuovo testamento, questo è il potere di testimonianza che la chiesa ha intorno alla figura di Cristo.

Quando il mondo guarda la chiesa è ovvio che veda peccatori, ma questo non è tutto quello che vede: esso vede peccatori le cui vite sono state radicalmente trasformate dal messaggio del Vangelo.

Vede peccatori il cui amore gli uni per gli altri non può essere spiegato da nulla se non dalla morte e la resurrezione di Gesù Cristo.

Vede peccatori che non solo si amano gli uni gli altri, ma amano Dio attraverso Gesù e le cui vite manifestano quest’amore in santità e verità.

Per ritornare da dove abbiamo cominciato, la chiesa può essere una struttura adatta alla fede solo se costituita da persone che hanno fede.

Tutto questo cambia quando la chiesa diventa la comunità di coloro che fanno semplicemente un percorso insieme: per alcuni l’esito di questo viaggio è poco chiaro ed incerto, per altri questo viaggio rappresenta una fermata prima di raggiungere la destinazione finale, per altri ancora il traguardo della Salvezza è raggiunto.

In questo caso però la comunità non è testimone della verità di Gesù Cristo e del Suo Vangelo: non può esserlo se c’è la possibilità di appartenere prima di credere.

Al contrario, una tale comunità è solo testimone di sé stessa, del suo calore, della sua apertura, del suo coinvolgimento.

Cos’è allora che la rende così unica ed irresistibile?

Ci sono molte comunità accoglienti ed aperte che possiamo definirle sottoculture nella città di Portland dove io vivo.

Queste comunità non testimoniano di Gesù: è solo la chiesa locale può farlo e, in ogni caso, può farlo solo se i suoi componenti credono prima di appartenere.

In poche parole, la filosofia dell’appartenere prima di avere fede ridefinisce le fondamenta della chiesa ed a lungo andare minerà il potere della testimonianza della chiesa.

UN’IDEA MIGLIORE

Appartenere prima di credere non è una buona idea.

Un’idea migliore può essere quella che descrive Gesù in Giovanni 13: una comunità che crede profondamente nel Vangelo al punto da condurre una vita caratterizzata dall’amore gli uni per gli altri.

Una comunità come questa, secondo Gesù, porterà coloro che sono “al di fuori” non soltanto a rendersi conto che sono “fuori da tutto ciò”, ma a farli desiderare di entrare a farne parte.

L’immagine che viene alla mente è quella di un panificio in un giorno freddo e nevoso: il profumo del pane delizioso e della cioccolata calda vengono fuori di tanto in tanto ed un bambino sta col naso schiacciato contro la vetrina.

Quel vetro è una barriera: senza di essa il calore e l’odore invitante si dissolverebbero nel vento freddo e nessuno potrebbe sapere che lì si può trovare qualcosa di buono.

E’ però una barriera trasparente che permette al bambino di vedere le bontà che ci sono all’interno che lo “invitano” dentro.

C’è un solo modo per entrare: quel bambino deve attraversare una porta stretta.

Finché non entrerà, non avrà la possibilità di apprezzare quello che c’è dentro, ma non potrà ancora assaggiarlo… Una volta entrato, potrà avere ciò che è lì solo se chiede.

Quando dei “non cristiani” incontrano la chiesa, dovrebbe essere come ritrovarsi davanti a quella vetrina e non come fissare un muro di mattoni.

Dal momento in cui diamo loro il benvenuto e li accogliamo come persone create ad immagine di Dio, dovrebbero sentire il calore del nostro amore.

Quando vedono persone che non hanno alcuna ragione per amarsi a vicenda fare invece di tutto per servire, dovrebbero sentire la profondità delle relazioni.

Quando viene predicata la Parola di Dio in modo strettamente collegato con le proprie vite, quando ascoltano la lode e la preghiera di persone che adorano il nostro Signore crocifisso e risorto dovrebbero gustare la ricchezza del Vangelo e dovrebbero sentire l’invitante suono di una comunità gioiosa.

Fate quindi di tutto per creare una comunità che accoglie coloro che sono fuori.

Teniamo conto del linguaggio che usiamo, siamo risoluti nella nostra ospitalità e strategici nella nostra trasparenza.

Come un panificio che espelle il delizioso profumo del pane all’esterno, celebriamo pubblicamente la grazia e la trasformazione che stiamo sperimentando.

E, successivamente, quando avremo fatto tutto questo, rendiamo chiaro il Vangelo e invitiamo le persone a rispondere con pentimento e fede.

Chiamiamoli non per fare una camminata nei corridoi, ma per entrare in quella porta stretta e godere delle ricchezze della fede nel Vangelo insieme a noi.

Se la chiesa riesce a manifestare le cose buone del Vangelo, la barriera della fede non dev’essere rimossa e sarà proprio quella fede condivisa ed evidente che funzionerà più potentemente per invitare le persone all’interno.

Traduzione a cura di Sharon Viola

Tradotto da Coram Deo in Italia. Visita il loro sito per accedere alle risorse disponibili.

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