Teologia biblica

La conversione nel Nuovo Testamento

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02.29.2012

La conversione può essere definita come l’allontanarsi dal peccato e il volgersi verso Dio. Forse il classico versetto che cattura questa definizione è 1 Tessalonicesi 1:9: “essi stessi raccontano quale sia stata la nostra venuta fra voi, e come vi siete convertiti dagl’idoli a Dio per servire il Dio vivente e vero”. In esso, vediamo chiaramente i due elementi della conversione, rivolgersi a Dio e allontanarsi dagli idoli.

LA CONVERSIONE NEL NUOVO TESTAMENTO: DALLA PAROLA DATA ALLA REALTÀ

La sconfitta del serpente, da parte di Dio, profetizzata nell’Antico Testamento (Genesi 3:15), nel Nuovo Testamento diventa una realtà. L’Antico Testamento aveva promesso una nuova alleanza, una nuova creazione, un nuovo esodo e nuovi cuori per il popolo di Dio. L’inizio dell’adempimento di tutte queste promesse è stato dato dalla vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo, annunciate nel Nuovo Testamento.

La conversione nei sinottici

Nei vangeli cosiddetti sinottici (Matteo, Marco e Luca), l’opera salvifica di Dio promessa nell’Antico Testamento è condensata nel termine “regno di Dio”. Il regno di Dio ha un ruolo centrale nei sinottici, ma dobbiamo anche capire che il regno richiede la conversione. I due elementi costitutivi della conversione possono essere definiti “pentimento” e “fede”. Come si legge in Marco 1:14-15, “Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo:«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo». ‘”(cfr. Mat. 4:17). La liberazione dalla cattività preannunciata dal profeta Isaia, l’adempimento delle promesse di salvezza fatte da Dio, saranno solo per quelli che si pentono dei loro peccati e credono nel vangelo.
Il vangelo presentato nei sinottici ruota intorno alla morte e alla risurrezione di Cristo, temi predominanti in tutti e tre i libri. Sono il culmine della storia della redenzione! Non c’è regno senza la croce. Gesù venne per “salvare il suo popolo dai loro peccati” (Matteo 1:21), e questa salvezza si realizza solo grazie alla sua morte sostitutiva, avendo Egli dato “la sua vita in riscatto per molti” (Matteo 20:28 cfr. Marco 10:45). Alcuni parlano tanto di regnare, ma dicono poco sulla conversione. Eppure, basta un rapido sguardo ai Vangeli sinottici, per capire che la conversione è indispensabile. Senza di essa non si può entrare nel regno (cfr. Marco 10: 17-31).

La conversione nel vangelo giovanneo

Il ruolo fondamentale della conversione è ben visibile nel Vangelo di Giovanni. Egli scrisse il suo Vangelo affinché tutti credessimo “che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, avessimo vita nel suo nome” (Giovanni 20:31). Giovanni usa il verbo “credere” ben 98 volte nel suo Vangelo, sottolineandone così l’estrema importanza. Tuttavia, il credere tratteggiato da Giovanni non è inattivo. Al contrario, i diversi termini che egli utilizza trasmettono la profondità e il dinamismo della fede: credere è come mangiare, bere, vedere, ascoltare, dimorare, venire, entrare, ricevere e obbedire. L’evangelista comunica la natura radicale della conversione attraverso i vari verbi usati per rappresentare cosa significhi credere che Gesù è il Cristo. Dunque, il ravvedimento è al centro del messaggio del Vangelo di Giovanni. La vita eterna (la vita nell’età a venire) è retaggio solo di quelli che credono in Gesù quale “Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29). In breve, solo chi si converte godrà la vita eterna.

La conversione e il Regno negli Atti degli Apostoli

Dalla precedente disamina, appare chiaro che la conversione gioca un ruolo di centralità nei Vangeli; la stessa cosa vale per il libro degli Atti, dove troviamo diversi di sermoni in cui il vangelo viene spiegato agli ascoltatori (ad esempio, Atti 2:14-41; 3: 11-26; 13: 16-41). Spesso, in queste riunioni, alla fine del sermone, il predicatore sollecita il ravvedimento (Atti 2:38, 3:19, 8:22, 17:30, 26:20), definito anche come il “rivolgersi” a Dio (Atti 3:19, 9:35, 40; 11:21; 14:15; 15:19; 26:18, 20; 28:27). Il messaggio evangelico comporta pertanto un urgente ammonimento a distogliere lo sguardo dal peccato e dalla vecchia vita. Allo stesso tempo, quelli che ascoltano la buona notizia sono chiamati a credere e ad esercitare la fede (Atti 16:31, 26:18). In effetti, negli Atti, la parola “credere” è usata quasi 30 volte in riferimento ai cristiani, indicando nella fede una prerogativa di quelli che appartengono a Cristo.
Non sorprende affatto che la conversione abbia questo ruolo ragguardevole negli Atti, poiché è l’elemento ricorrente nella diffusione del Vangelo da Gerusalemme fino a Roma (Atti 1: 8, cfr anche 1: 6, 14:22). Ma dovrebbe essere osservato che anche il regno di Dio è un tema importante in Atti, dove è presente dall’inizio (Atti 1: 3) alla fine (Atti 28:31). A Roma, Paolo predica il regno (Atti 20:35; 28:23, 31), così come Filippo, che “portava il lieto messaggio del regno di Dio e il nome di Gesù Cristo” (Atti 8:12), il che è la prova che il Vangelo è incentrato sul Regno. La predicazione del vangelo, come si è detto sopra, chiamava gli ascoltatori a pentirsi e a credere. Quindi, abbiamo un’altra dimostrazione che il ravvedimento è fondamentale in qualsivoglia proclamazione del regno. I cristiani attendono con ansia che il Padre ristabilisca la sua signoria sul creato; ma solo quelli che si sono pentiti e hanno creduto godranno il nuovo mondo che sta per essere inaugurato. Chi si rifiuta di credere, come sottolinea spesso il libro degli Atti, sarà condannato.

La conversione negli scritti paolini

Paolo non fa un largo uso della locuzione “regno di Dio”, ma la sua idea escatologica del mondo è ben nota e si accorda con il carattere escatologico del regno. Come gli autori dei Vangeli, l’apostolo propugna una escatologia del già e non ancora. Molti studiosi convengono sul fatto che la fede e il pentimento sono soggetti fondamentali nelle epistole paoline. Paolo insegna spesso che la giustificazione e la salvezza vengono ottenute solo mediante la fede (cfr. Rm 3: 21-4: 25, 9: 30-10: 17; 1 Corinzi 15: 1-4; Galati 2: 16-4: 7; Ef 2: 8-9; Fil. 3: 2-11). Egli non usa frequentemente la parola pentimento, che comunque non manca del tutto nei suoi scritti (ad esempio, Rom 2:4, 2 Cor. 3:16, 1 Tess. 1: 9, 2 Tim. 2:25). Per contro, ha un ricco frasario per descrivere l’opera salvifica di Dio in Cristo: sono tipicamente paolini termini come salvezza, giustificazione, redenzione, riconciliazione, adozione, propiziazione e così via. È indiscutibile che l’opera salvifica di Dio in Cristo abbia un ruolo importante nella teologia paolina, ma lo è altrettanto il fatto che la salvezza viene accordata solo a coloro che credono, a coloro che sono convertiti.

Per Paolo, i credenti attendono con impazienza il ritorno di Gesù Cristo e la restaurazione del cosmo (Romani 8: 18-25; 1 Tessalonicesi 4: 13-5: 11; 2 Tess. 1:10), ma solo i convertiti erediteranno la nuova creazione che sta per essere manifestata. Ecco perché egli lavora intensamente per diffondere il Vangelo tra i Gentili (Col. 1: 24-2: 5), sforzandosi di portarlo ai popoli che non lo hanno mai ascoltato (Romani 15: 22-29), in modo che possano anch’essi entrare a far parte della cerchia dei salvati.

La conversione nelle Epistole Generali

Le restanti epistole del Nuovo Testamento sono scritti occasionali, originati da situazioni specifiche. Ciononostante, anche in esse, esplicitamente o in maniera indiretta, viene ribadita l’importanza della conversione. Ad esempio, in Ebrei leggiamo che solo coloro che credono e obbediscono entreranno nel riposo finale (Ebrei 3:18, 19; 4: 3; 11:1-40). Giacomo, che pure è stato spesso frainteso, se interpretato correttamente, predica anch’egli la necessità di una fede che si ravvede, per essere giustificati (Giacomo 2: 14-26). Allo stesso modo, Pietro insegna che la salvezza è per fede (1 Pie. 1: 5; 2 Pie. 1: 1), mentre è chiaro che la prima lettera di Giovanni fu scritta per rassicurare quelli che credono, che hanno la vita eterna (1 Giovanni 5:13).

La conversione nell’Apocalisse

Il libro dell’Apocalisse si conclude con l’assicurazione, per i credenti, che il regno di Dio, che è già in atto, si compirà per sempre. Quelli che praticano il male e chi adora la Bestia saranno gettati nello stagno di fuoco e di zolfo, ma chi persevererà fino alla fine entrerà nella città celeste, la nuova Gerusalemme: solo chi si ravvede (Apocalisse 2: 5, 16, 21, 22; 3: 3, 19; 9:20, 21; 16: 9, 11) godrà la vita eterna.

UN TEMA NON FONDAMENTALE, MA UGUALMENTE CENTRALE IN TUTTA LA NARRAZIONE BIBLICA

In sintesi, non si può dire che la conversione sia il tema principale della Scrittura. I credenti sono stati fatti per glorificare Dio e per rallegrarsi in Lui per l’eternità, e noi Lo godiamo e lo glorifichiamo, sia in questo mondo che nel mondo a venire. Ma la conversione è inevitabile, dal momento che solo i convertiti esulteranno nella nuova creazione. Gli uomini devono abbandonare il peccato e ritornare a Dio per essere salvati. Devono pentirsi dei loro peccati e credere nel vangelo di Gesù Cristo crocifisso e risorto. E, nell’ultimo giorno, sarà per noi motivo di grande soddisfazione se avremo contribuito, in qualche modo (utile come questo), al miglioramento del mondo presente, se uno non è convertito.

Tratto e tradotto ad opera di Ciro Izzo

Tradotto da Coram Deo in Italia. Visita il loro sito per accedere alle risorse disponibili.