Teologia biblica
Imparare ad avere una propria identità di pastore: dal desiderare di averla al realizzare pienamente questo obiettivo
Ritengo che Phillips Brooks, con la sua magistrale definizione della predicazione, che per lui è “comunicare la verità servendosi della personalità”, stesse alludendo alla peculiarità di ogni individuo, e non al carattere in generale. Mi ci è voluto un po’, ma alla fine credo di aver imparato ad essere me stesso, quando salgo sul pulpito. Ora, se questo voglia dire che i miei sermoni sono migliori o peggiori, non posso dirlo; ma essere me stesso significa sicuramente predicare in maniera non artificiosa, con più semplicità e ponderatezza. So di avere ancora molto da apprendere come predicatore, e spero che, tra dieci anni, potrò ricevere ancora tanti di quei complimenti così imbarazzanti, eppure così sinceri, come “ultimamente la tua predica è veramente migliorata”.
Sento, insomma, di essere arrivato al punto di proclamare la verità per mezzo della mia personalità.
Come molti giovani predicatori, e non pochi più anziani, ho faticato a trovare la mia “collocazione” come predicatore. Quando ero al college, divoravo gli scritti dei riformatori e dei puritani. Poi, ad un tratto, tutto ciò che avevo letto, cominciò ad apparirmi sorpassato da centinaia di anni o come tradotto secoli prima. Di conseguenza, nei miei scritti (predicavo molto meno, all’epoca) sembrava che puntassi a conseguire il riconoscimento dell’”appena tradotto dal latino”. Il mio parlare era frequentemente prolisso e la mia grammatica antiquata; in una parola, ero facondo ma non fecondo.
Poi, un professore molto brillante, che più volte mi aveva reso testimonianza in molti modi, mi spronò a scrivere qualcosa che andasse bene per il mio tempo, e non per l’epoca dei miei eroi spirituali. In quel momento, il suggerimento mi mise in crisi. Non ero abbastanza sicuro di potermi fidare di lui. In fin dei conti, non era un segno di benevolenza usare espressioni come “così bisogna”, “malignità” e “calunniare”? Beh, non lo era.
Io dovevo essere me stesso e non ostentare un anacronistico puritanesimo (Tra l’altro, un mio cugino nonché compagno di classe quand’ero al college, in quel periodo indossava una magnifica maglietta con su scritto “Eschew Obfuscation”. E dire che era l’unico ad avere una ragazza, durante tutti e quattro gli anni! Va’ a capire!
In seminario, osservavo che molti dei miei compagni di classe cercavano di emulare i loro professori di omiletica. Questa è cosa che accade ancora oggi. I docenti che predicano daranno inevitabilmente luogo a degli atteggiamenti pappagalleschi, da parte degli allievi. Probabilmente, c’è qualche leggerezza da parte di certi insegnanti, che pongono eccesiva enfasi sul proprio modo di esporre la Parola; c’è da dire che, il più delle volte, un metodo che funziona benissimo per l’insegnante, può rivelarsi catastrofico per i discepoli. Tuttavia, parte della colpa va imputata agli studenti. Siamo alla disperata ricerca di un modello da seguire, e così finiamo per copiare rozzamente il comportamento di quelli che godono maggiormente della nostra stima, specie di chi deve insegnarci a predicare.
Al Gordon-Conwell ho visto molti studenti scimmiottare Haddon Robinson. Ciò non significa che tutti questi imitatori diventeranno automaticamente cattivi predicatori; però, devono capire che esiste un solo Haddon W. Robinson. E non possono essere tutti come lui!
Quanto a me, benché mi sentissi edificato dai sermoni di Robinson, ero più attratto dall’ispirarmi ad altri oratori. Sono sicuro che, per i primi anni del mio ministero, devo esser sembrato una (molto) misera versione di John Piper. Mi piaceva tanto ascoltarlo, al punto tale che le mie preghiere, i soggetti che sceglievo e persino il modo in cui dicevo “Alleluia!”, avevano senz’altro un’impronta piperiana (cioè di John Piper). Non fraintendetemi: non faccio mistero di aver attinto a piene mani da Piper e di essere influenzato da lui. Scambierei i miei sermoni per i suoi ogni giorno. Malgrado ciò, sono certo che se lui mi sentisse, sarebbe il primo a dire: “Predica lo stesso vangelo che predico, ma non predicarlo come me”.
Mi ci sono voluti diversi anni, ma penso di avere finalmente capito che non devo essere come John Piper. Non posseggo la sua stessa personalità, per non parlare poi dei suoi carismi.
Nel tempo, ci sono stati anche altri famosi predicatori che volevo emulare. Ad esempio, mi piacerebbe leggere un testo e usare la stessa ironia di Alistair Begg (ovviamente, con la stessa cadenza). Oppure, essere creativo come Tim Keller e culturalmente in sintonia con lui, oppure essere piacevole e, nel contempo, umile come C. J. Mahaney. A volte mi sono chiesto come sarebbe stato essere diretto ed esplicito come Driscoll o brillante come Carson.
Ah, dimenticavo. Ho persino creduto che sarebbe stato bello comunicare la stessa mole di materiale di Rob Bell.
Nel corso degli anni, ho sperimentato diversi metodi di porgere il messaggio della Parola. Ho predicato senza note, con una mezza pagina di note e con un manoscritto completo, perché uno dei predicatori che amo, utilizza tutti e tre sistemi. Ma, ad essere sincero, quello che funziona meglio per me e per il mio stile, almeno in questa fase del mio ministero, è predicare avendo una serie completa di note, in cui si alternano appunti scritti a mano e arzigogoli vari. Probabilmente, i professori di omiletica mi odieranno per aver detto queste parole, ma a volte quello che necessita è solamente capire cosa sia giusto per te. Sono convinto che esistono alcuni princìpi da applicare per ottenere una buona predica, ma gioca un ruolo fondamentale anche l’elemento incognito, che ti fa dire “non sono sicuro del motivo, ma con me funziona”.
Sin dal 2002, anno in cui sono stato ordinato ministro di culto, avrò predicato quasi 500 volte (abbiamo un solo culto serale). E penso che ci siano voluti circa 450 sermoni per capire come modulare la mia voce. Questo non vuol dire che tutti i miei altri sermoni siano stati inefficaci o ingannevoli, secondo me. Non è stato facile come far finta di avere l’accento scozzese o vantarsi di essere cresciuto a Greenville, nel South Carolina. Ma mi ci è voluto tanto tempo per comprendere quanto saggia fu la dichiarazione di Paolo: “Per la grazia di Dio, sono ciò che sono”.
Una delle cose più difficili che ogni predicatore deve imparare, specialmente quelli novizi, è essere semplicemente sé stesso. Non affettare lo slancio o l’umorismo degli altri né cercare di copiarne il grado d’istruzione. E non spogliatevi della vostra personalità solo perché uno dei vostri campioni non condivide con voi gli stessi tratti caratteriali. Andate avanti e assimilate pure il meglio dai migliori. Ma, la domenica, i vostri fedeli, ascoltando la predica, non devono sentire il predicatore che voi vorreste essere. Lasciate che il vostro carattere sia continuamente perfezionato dallo Spirito di Dio e consentite alla verità della Parola di Dio di rifulgere attraverso la vostra personalità. Predicate come dei morenti a dei moribondi e non dimenticate di rimanere sempre voi stessi.
Traduzione a cura di Ciro Izzo
Tradotto da Coram Deo in Italia. Visita il loro sito per accedere alle risorse disponibili.